lunedì 5 settembre 2022

Meninas Cartoneras : “Amores (des) plegados”

 Sempre con colpevole ritardo presentiamo il libro  “Amores (des) plegados” di Elisabetta Spano, la nostra cara prof. che tanto portiamo nel cuore; da tempo Elisabetta collabora con la casa editrice  Meninas Cartoneras che pubblica i libri utilizzando copertine di cartone o altro materiale riciclato facendo di ogni pubblicazione un esemplare unico.

Amores (des) plegados è una raccolta di racconti brevi, che parlano di amori diversi che si dispiegano e si aprono al mondo in tutti loro stati e  forme .....

A questo link è possibile leggere una breve intervista all'autrice e una descrizione delle attività e delle finalità di Meninas Cartonera : https://othersouls.it/2021/05/elisabetta-spanu/

 




 Questa è la nostra copia !!!!

giovedì 1 settembre 2022

Premio Alfredo Rampi edizione 2021 : vince il racconto della nostra prof.ssa Elisabetta Spanu

 Finalmente dopo un colpevole ritardo mostriamo orgogliosamente il video della premiazione e della lettura del raccconto "Insediamenti amorosi" scritto dalla nostra docente Elisabetta Spanu che, anche se in pensione, è sempre vicina a noi e alla nostra scuola. Il racconto ha partecipato al premio letterario Alfredo Rampi ed. 2021" Più in là - Oltre la resa" bandito in occasione del 40° anniversario della nascita della Associazione Centro Alfredo Rampi ONLUS, e classificandosi al 1° posto nella sezione adulti 12-99 anni. Il testo è  rielaborazione e narrazione di episodi accaduti a scuola  di cui siamo stati partecipi con entusiamo e trepidazione e che l'autrice  ha vividamente rappresentato nel testo.

Il racconto è  inserito nell'Antologia  "Più in là" Premio Alfredo Rampi - Mauro Pagliai Editore che raccoglie tutte le opere vincitrici del concorso.

Per altr informazioni visitare il sito : https://www.centrorampi.it/

 

 
 
 Insediamenti amorosi

La professoressa viaggiava a ritmo sostenuto per arrivare a destinazione ad un orario ragionevole. Cambiava meccanicamente le marce e ascoltava musica un po’ datata, ma il suo pensiero tornava e ritornava a quell’ultimo anno scolastico. Dopo quarant’ anni passati dietro una cattedra, presumeva di capire i suoi alunni con un solo sguardo, di prevederne ogni reazione e ogni stato d’animo; ne sfruttava la curiosità innata e ne approfittava per introdurre le sue lezioni di filosofia. Da subito aveva capito che l’unico modo di coinvolgerli era parlare d’amore: gli adolescenti andavano pazzi per quell’argomento. In virtù di questo si era inventata lo stratagemma degli stati amorosi, sperando, se non proprio di proteggerli dalle avversità future, almeno di abituare quei ragazzi e quelle ragazze a convivere con il concetto di amore variegato, in movimento. Spiegava - infervorata di amore fluviale in cui tutto scorre e niente è più come prima – il panta rei in Eraclito; parlava di amore ferroviario in cui si doveva scendere e cambiare stazione, e introduceva il Seicento; discettava di amore marino, i cui flutti si agitavano in superficie e che le serviva come pretesto didattico per esporre il “carattere” del Settecento. Insomma, una casistica di amori dinamici che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto spingere gli alunni a riflettere e a raccontarsi.  Il problema era quando si arrivava all’ amore romantico e lei doveva spiegare, senza pietà, che quello era un costrutto culturale ottocentesco, e che l’amore unico, eterno e assoluto era solo una pia illusione. Le sue affermazioni suonavano terribili, vedeva sempre lo sgomento e la delusione dipingersi sul viso dei suoi studenti-cuccioli. Le facevano una profonda tenerezza quando coglieva la loro speranza segreta che lei si stesse sbagliando, di poter continuare a trastullarsi con eternità e assolutismo. Altro che costrutto!

Così era andata avanti, per quarant’ anni, con la presunzione di saperla lunga.

Certo, si era dovuta adattare e riadattare. Era entrata in classe con una penna Bic e si era ritrovata con un registro elettronico e un tablet in mano a combattere con i cellulari: le nuove maledizioni amorose. I suoi alunni non si raccontavano più, messaggiavano su uno schermo, sbiancavano di colpo e chiedevano, in lacrime, di uscire, dissimulando goffamente l’arida fine di un amore in diretta schermo. E lei, che li prendeva affettuosamente un po’ in giro, aveva capito che era una battaglia persa, che i ragazzi non avrebbero mai fatto a meno di quel gingillo, neanche sotto minaccia di tortura didattica. Lo avrebbero sempre tenuto tra le mani, cercando di nasconderlo e di imbrogliarla, o avrebbero sbirciato nella tasca dello zaino per leggere l’ultimo messaggio arrivato. Nessun regolamento li avrebbe fermati.

Così era dunque stato, prevedibile come il sorgere del sole... e iniziava a spiegare Hume.

Sino a Michele, il suo alunno più bislacco, problematico, uscito a metà da un manuale di pedagogia inclusiva e dal libro Cuore. Ci aveva messo un anno per vedere gli occhi di Michi, che portava la visiera del berretto calata sino al naso. Solo al secondo anno si era tolto il berretto. Al terzo aveva cominciato vagamente a fidarsi di lei e a mostrarle i suoi disegni. Al quarto, finalmente, aveva iniziato a scendere in giardino con la collega di sostegno e a innaffiare le rose bianche. Sembrava sereno, ma proprio nel giardino della scuola si era scatenato il temporale ormonale della sua difficile età, e Michele si era innamorato di Viola, alunna di quinta liceo, gentile fino al midollo ma attenta a non regalare a nessuno vaghe illusioni. Michele, pur consapevole che la fanciulla sarebbe sparita presto dalla sua vita, era pazzo di lei. Arrossiva quando pronunciava il suo nome, le regalava rose bianche e le scriveva poesie. Il tutto, contenuto nei termini di una relazione cavalleresca da amor cortese che lasciava attonito il corpo docente. Come previsto, Viola si era maturata, gli aveva affettuosamente regalato una foto scattata alla festa di fine anno ed era partita per la sua strada. Michele era quindi arrivato in quinta con la foto stropicciata in tasca e con un’unica richiesta: sedersi al posto che aveva occupato Viola l’anno prima. Era stato accontentato e quella sedia era diventata un lavoro di intaglio, con nomi e fiori incisi sul legno. Del resto, Michele si era sempre espresso attraverso i disegni. Tra un nome inciso e un fiore reciso, era arrivato anche lui all’Esame di Stato e, a quel punto, la professoressa e le sue colleghe avevano deciso di fargli un regalo. Era stato un percorso faticosissimo, per cinque lunghi anni, ma Michi era un lampante raro caso di successo scolastico, e le docenti leggevano gratitudine nei suoi occhi. Gratitudine a cui non erano abituate. Avevano coinvolto la signora Tina, una delle bidelle. Tina era una figura anacronistica, da anni Sessanta, col suo bicchiere di acqua e zucchero usato come panacea per tutti i mali. Aveva preso a cuore il caso di Michele. Toccava a lei domandargli cosa desiderasse, mentre loro, le professoresse, insediatesi in sala docenti, trafficavano con scartoffie in attesa di sapere che cellulare sognasse Michele, visto che non aveva mai potuto averne uno.

La signora Tina era tornata dalla missione con gli occhi lucidi, stupefatta. Un desiderio ce l’aveva, Michele, ma non era un gadget tecnologico: era la sedia! Il ragazzo voleva continuare a sedersi sulla sedia di Viola!  Come aveva potuto essere così cieca? Si erano imprevedibilmente sbagliate tutte e proprio lei, la professoressa di filosofia, quella del dubbio metodico, non era riuscita ad andare oltre, e aveva dato tutto per scontato. Era stata miope ed ora si trovava di fronte ad un vero dilemma morale, non ad una semplice colletta per un maledetto cellulare. Mai e poi mai sarebbero state autorizzate a regalare una sedia dello Stato ad un alunno. Era burocraticamente impossibile, e neanche potevano sostituirla, personalizzata com’era da tutte quelle incisioni. E quindi?

Semplice: l’avrebbero rubata! Sarebbero andate oltre.

Avevano architettato il furto con precisione matematica e, durante la festa di fine anno, approfittando della confusione generale e con la complicità del paninaro della scuola, l’avevano caricata sul furgone delle merende. Era poi toccato alla docente di filosofia portarla in paese, a casa di Michele, infiocchettata di rosso. Michele non si aspettava quel dono. L’aveva guardata commosso e le aveva detto: “Grazie professoressa! A volte l’amore deve aspettare seduto”.

Lei se n’era andata fra le lacrime.

Lei, che pensava di sapere già tutto, aveva imparato dal suo alunno che si poteva sempre andare più in là e che, all’occorrenza, una rispettabile docente poteva perfino diventare una ladra di sedie. Arrivò a destinazione, aprì il bagagliaio e tirò fuori tutto l’armamentario. Si trascinò sino alla riva, aprì la sua seggiola e lanciò la canna da pesca.

Finalmente poteva sedersi e aspettare, in pace e amore con il mondo, pronta per andare in pensione.