mercoledì 27 gennaio 2021

IL GIORNO DELLA MEMORIA


Sono state scelte le seguenti parti tratte dal romanzo autobiografico di Curzio Malaparte, dalle quali emerge l'atteggiamento freddo e distaccato dei tedeschi nei confronti degli ebrei; anche dai dialoghi quotidiani tra le persone (in questo caso chiacchiere durante un pranzo) traspare l'idea di inferiorità della razza ebraica come non appartenente al genere umano.

 

Ero stato, alcuni giorni prima, nel ghetto di Varsavia. Avevo varcato la soglia della “città proibita”, chiusa dentro l’alta muraglia di mattoni rossi, che i tedeschi hanno costruita per chiudere nel ghetto, come in una gabbia, quelle miserabili e inermi belve. Sulla porta, vigilata da una scolta di SS. armate di mitragliatrici, era affisso il manifesto, firmato dal governatore Fischer, che comminava la pena di morte per qualunque ebreo che avesse tentato di uscire dal ghetto. .........

     Squadre di giovani andavano in giro per le strade a raccogliere i morti, entravano negli anditi, salivano su per le scale, penetravano nelle stanze. Erano giovani monatti, in gran parte studenti, i più di Berlino, di Monaco, di Vienna, gli altri deportati dal Belgio, dalla Francia, dall’Olanda, dalla Romania. Molti erano stati, una volta, ricchi e felici, avevano abitato in belle case, erano cresciuti tra mobili di lusso, tra quadri antichi, fra libri, fra strumenti di musica, fra preziose argenterie e fragili porcellane ed ora si trascinavano faticosamente sulla neve, i piedi avvolti in stracci, i vestiti a brandelli.

Gli ebrei sono una razza malata, in piena decadenza”, disse Frank, “tutti degenerati. Non sanno allevare e curare i bambini, come si fa in Germania.”.

La Germania è un paese di alta Kultur”, dissi io. 

 “Ja, natürlich, in fatto di igiene infantile, la Germania è il primo paese del mondo”, disse Frank. “Avete osservato l’enorme differenza che c’è tra i bambini tedeschi e quelli ebrei?”.

I bambini dei ghetti non sono bambini”, risposi.

(I bambini ebrei non sono bambini, pensavo, percorrendo le strade dei ghetti di Varsavia, di Cracovia, di Czenstochowa. I bambini tedeschi sono puliti. I bambini ebrei sono schmutzig. I bambini tedeschi son ben nutriti, ben calzati, ben vestiti. I bambini ebrei sono affamati, son mezzi nudi, vanno a piedi scalzi nella neve. I bambini tedeschi hanno i denti. I bambini ebrei non hanno i denti. I bambini tedeschi vivono in case pulite, in stanze riscaldate, dormono in lettini bianchi. I bambini ebrei vivono in case luride, in stanze fredde, piene di gente, dormono su mucchi di stracci e di carta accanto ai letti dove sono distesi i morti e gli agonizzanti. I bambini tedeschi giuocano: hanno bambole, palle di gomma, cavallucci di legno, soldatini di piombo, fucili ad aria compressa, trombe, scatole di “meccano”, trottole, hanno tutto quel che occorre a un bambino per giocare. I bambini ebrei non giocano: non hanno nulla per giocare, non hanno giocattoli. E poi non sanno giocare! No, i bambini ebrei dei ghetti non sanno giocare. Sono proprio bambini degenerati. Che schifo! Il loro unico divertimento è di seguire i carri funebri colmi di morti, e non sanno neppure piangere; o di andare a veder fucilare i genitori e i fratelli dietro la Fortezza. È il loro unico divertimento andare a vedere fucilare la mamma. Proprio un divertimento da bambini ebrei).

Malaparte C., Kaputt, Aria d’Italia (pp. 97-107 Roma – Milano 1951)

Terezin : arrivo al campo.....


                                                                                                      Contributo di Celeste Giannoni IV G

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un sì o per un no.

[…]

Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

coricandovi, alzandovi.

Ripetetele ai vostri figli.

(Levi P., Se questo è un uomo)

 

Contributo di Elisabetta Giacalone IV G

Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro: e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell’altro, incertezza del domani. Vi si oppone la sicurezza della morte, che impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore. Vi si oppongono le inevitabili cure materiali, che, come inquinano ogni felicità duratura, così distolgono assiduamente la nostra attenzione dalla sventura che ci sovrasta, e ne rendono frammentaria, e perciò sostenibile, la consapevolezza.

Sono stati proprio i disagi, le percosse, il freddo, la sete, che ci hanno tenuti a galla sul vuoto di una disperazione senza fondo, durante il viaggio e dopo. Non già la volontà di vivere, né una cosciente rassegnazione: ché pochi sono gli uomini capaci di questo, e noi non eravamo che un comune campione di umanità.

(Levi P., Se questo è un uomo)

Contributo di Benedetta Pusceddu V G

Noi siamo la nostra memoria,

noi siamo questo museo chimerico

di forme incostanti,

questo mucchio di specchi rotti.

(Jorge Luis Borges)

Contributo di Claudia Atzeni VG

Pochi anni, infatti, ci separano dal più orribile crimine di massa che la storia moderna debba registrare: un crimine commesso non da una banda di fanatici, ma con freddo calcolo dal governo di una nazione potente.

Il destino dei sopravvissuti alle persecuzioni tedesche testimonia fino a che punto sia decaduta la coscienza morale dell’umanità.

(Albert Einstein)

  Contributo di Benedetta Serra (VG)

L'indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l'apatia morale di chi si volta dall'altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l'indifferenza. 

         (Andrea Riccardi) 

"Il progresso, lungi dal consentire il cambiamento, dipende dalla capacità di ricordare… Coloro che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo. " 

(George Santayana)

 


 

  

 Nella nostra Biblioteca custodiamo con grande affetto  il libro autografato con dedica della scrittice Lia Levi che è stata ospite del nostro Istituto come testimone della grande tragedia della Shoah.

 

 


1 commento:

Stefania Mascia ha detto...

Ho finalmente letto il libro di Lia Levi, molto toccante. Con lo sguardo semplice di una bambina si coglie l'insensatezza delle leggi razziali.